Intensione

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Componente del significato di un’espressione riguardante il suo apparato concettuale, in opposizione all’estensione, ossia il riferimento a entità concrete. Il termine intensione è stato introdotto da R. Carnap combinando principalmente la nozione di L. Wittgenstein di "stato di cose" e la distinzione di G. Frege tra "Sinn" e "Bedeutung"; si deve invece a S. Kripke il trattamento dell'intensione come oggetto semantico le cui proprietà sono definite formalmente all'interno di una semantica modale. In questi termini l'intensione può essere definita formalmente come funzione da espressioni linguistiche in mondi possibili a estensioni (oggetti, individui, enti, etc.).

Problemi dell'estensionalità

La difficoltà di ricondurre il significato di un’espressione al solo riferirsi a oggetti del mondo, ha dato vita ad un’indagine formale su proprietà semantiche non comprensibili solo estensionalmente. Ci sono infatti alcune classi di enunciati -raggruppabili nel seguente modo- in cui l’estensionalità fallisce:

Riferimento ai non esistenti, esistenziali negativi: “Pegaso è bianco, Pegaso non esiste”; nel primo esempio la validità dell’enunciato non può essere dedotta verificando che l’entità a cui ci si riferisce possieda la ”bianchezza”, perché di fatto non c’è alcun ”Pegaso”; il secondo invece sembra essere addirittura un enunciato vero anche se -appunto- non si riferisce ad alcunché.

Identità: “Espero è Fosforo”; se considerato solo referenzialmente un enunciato del genere, spesso chiamato Puzzle di Frege, avrebbe lo stesso grado di informatività della tautologia “Espero è Espero”.

Sostitutività in contesti referenzialmente opachi: “Lex Luthor scoprì che Clark Kent era Superman”; esempi analoghi si possono costruire ricorrendo a costrutti come: citazioni, discorsi indiretti, atteggiamenti proposizionali (credenza, conoscenza, ...), etc.; in questi contesti la sostituzione di un’espressione ad un’altra che si riferisce allo stesso individuo produce generalmente alterazioni nel significato dovute all'ambigua attribuzione di un referente (opacità referenziale). Ad esempio utilizzare Clark Kent per Superman in "Lex Luthor scoprì che Clark Kent era Clark Kent", produce una variazione nel significato dell'enunciato, sebbene le due espressioni abbiano il medesimo referente.

Parallelamente la logica del prim’ordine (in cui è inclusa la quantificazione su variabili ma non su insiemi) si rivela uno strumento fortemente estensionale, inadatto a catturare formalmente il significato di espressioni del genere. Al suo interno si può dimostrare ad esempio il seguente teorema, formulazione del principio di estensionalità:

∀x (Ax ⟷ Bx) ⊧ θ ⟷ [B/A]θ

Intuitivamente se due predicati (A, B) hanno validità per lo stesso insieme di enti (segnalati dalla variabile x su cui varia il quantificatore), si può sostituire l’uno all’altro senza alterare i valori di verità (cioè: θ ⟷[B/A]θ)- quindi la semantica- dell’enunciato θ in cui avviene la sostituzione [B/A].

La semantica intensionale

Le proprietà intensionali di un’espressione vengono caratterizzate all’interno della semantica modale (o intensionale): si tratta di indagare il funzionamento concettuale-referenziale di elementi di un linguaggio logico in stati di cose diversamente concepibili, detti comunemente mondi possibili.

Si prenda qui un modello M per la semantica intensionale costituito da:

1. un insieme non vuoto W di mondi possibili

2. una relazione R di accessibilità tra mondi che rende i diversi stati di cose diversamente concepibili

3. una funzione d che assegna un dominio dw a ogni mondo w ∈ W

4. una funzione-interpretativa binaria I(w,t) che assegna oggetti a costanti e predicati del linguaggio, in determinati mondi possibili w (si definisce in seguito il suo comportamento)

Si introduce poi una funzione di valutazione V (nel modello M) che, riferendosi a determinati mondi, assegna a enunciati del linguaggio (costruito ricorsivamente al prim’ordine) valori di verità, con questo comportamento classico:

1. VM,w (Pt1,..., tn) = vero sse Iw(t1) ∈ Dw,, ..., Iw(tn) ∈ Dw e <Iw(t1), …, Iw(tn)> ∈ Iw(P)

2. VM,w(¬θ) = vero sse VM,w(θ) = falso

3. VM,w(θ → ϕ) = falso sse VM,w(θ) = vero e VM,w(ϕ) = falso

4. VM,w(Oθ) = vero sse VM,w'(θ) = vero per ogni w' di W tale che wRw'


L'idea del punto 1. è che: dato un insieme di oggetti Iw(t1), ..., Iw(tn) presenti nel mondo w, (cioè denotati dalle costanti t1, …, tn a cui la funzione Iw assegna referenti) un enunciato atomico generico, costruito intorno a un qualsiasi predicato P a n-posti, è verificato al mondo w se questo insieme di oggetti è compreso nella partizione di oggetti Iw(P) individuata dalla proprietà P al mondo w. I successivi punti 2. e 3. definiscono invece la semantica dei fondamentali connettivi ¬ e → che assemblano enunciati più complessi da enunciati-base (costruiti come in 1.). In 2. un enunciato è definito falso quando la sua negazione è vera e viceversa. In 3. invece l'implicazione θ →ϕ è falsa solo nel caso in cui abbia premessa vera e conclusione falsa.

Si parla di semantica modale (o in questo caso intensionale) come estensione della logica classica perché la valutazione di un enunciato è allargata a diversi stati possibili; come si vede in 4., l’operatore O di intensionalità viene applicato a un enunciato e ne richiede la validità in tutti gli stati accessibili w' dal “mondo di partenza” w.

Quello descritto è solo uno dei modelli per la semantica modale, proposto al fine di dare una definizione dell'oggetto semantico “intensione”; si introducono solitamente nella logica modale altri differenti modelli, modificando i tratti costitutivi (proprietà logiche dei mondi, relazione di accessibilità, comportamento della valutazione, domini di enti, etc.) per adeguarsi a nozioni differenti da quella di “intensione” di un'espressione (ad esempio nozioni di: conoscenza, dovere, necessità, etc.).

Nomi e descrizioni

La problematica del senso di un’espressione riguarda in larga parte i nomi propri (Espero, Fosforo, Clark Kent, etc.) e le descrizioni definite di una lingua (la stella del mattino, la stella della sera, il presidente degli Stati Uniti, etc.). Nella questione intensione/estensione, tali oggetti linguistici sono parti del discorso indubbiamente molto indagate rispetto ad altre, ma ciò è dovuto verosimilmente all’intrinseca capacità di essere legati a uno o più referenti concreti ed altresì di possedere un senso (in accezione Fregeana qualcosa di non riducibile al mero ruolo di etichetta a un oggetto) che può funzionare indipendentemente.

La risposta più forte e unificante delle teorie del riferimento su nomi e descrizioni è quella di Kripke: un nome proprio sarebbe un designatore rigido, in grado di denotare sempre lo stesso referente in diverse situazioni diversamente concepibili; una descrizione definita sarebbe invece un designatore flessibile, che individua diversi candidati in diverse situazioni e che indirizza l’espressione al suo referente. Potremmo parlare di Superman attribuendogli determinate proprietà, dicendo che: ”Superman è il supereroe dei fumetti”, e poi potremmo pensare ad altri scenari possibili in cui ad esempio ”Superman è l’aiutante di Batman”: ci staremo riferendo comunque, sempre all’individuo denotato dal nome proprio ”Superman”. Invece espressioni come: ”il supereroe dei fumetti”, ”l’aiutante di Batman”, il ”presidente degli Stati Uniti”, etc. individuano sicuramente diversi referenti in situazioni diversamente concepibili, momenti diversi della storia, contesti culturali differenti, etc.7

A partire da questa idea sorge la questione di come modellare il comportamento di nomi propri e descrizioni definite sulla semantica intensionale che abbiamo introdotto, cioè cercare formalizzazioni rigorose anche per una componente del significato che pare sfuggire a meccanismi logici. Dovremmo riservare innanzitutto al nome proprio il ruolo di costante c e modellare la funzione interpretativa I in modo che assegni un oggetto fisso in qualsiasi situazione in cui lo concepiamo. Ora il modello M presentato, permette di definire chiaramente l’intensione di diverse parti del discorso:

• L’intensione di un NOME PROPRIO è la funzione interpretativa binaria che associa ad ogni costante individuale cj e ad ogni mondo possibile wi, l’oggetto nel dominio dwi denotato da cj in wi :

I(wi,cj) ∈ dwi

e data la peculiarità dei nomi propri di riferirsi sempre alla stessa entità in situazioni diversamente concepibili, la loro intensione è una funzione costante, che individua sempre lo stesso oggetto in diversi stati.

• L’intensione di un PREDICATO è la funzione che associa ad un qualsiasi predicato a n−posti, Pin e ad ogni mondo possibile wi l’insieme di oggetti nel dominio dwi denotati da Pin in wi

I(wi, Pin) ∈ dwi

Il senso fregeano (o intensione) è perciò, all’interno della semantica intensionale la funzione che indirizza le espressioni a un referente in diversi stati di cose accessibili.

La proposizione

Possiamo applicare la funzione-intensione anche all’ENUNCIATO in modo tale che I associ ad ogni formula ϕ del linguaggio ed ogni mondo possibile wi il valore di verità di ϕ in wi:

I(wi,ϕ) ∈ {vero, falso}

Può sembrare controintuitivo attribuire una denotazione a un enunciato, ma all’interno della semantica intensionale il riferimento di enunciato è propriamente il suo valore di verità mentre la sua intensione è la proposizione (α) che esprime; quest’ultimo oggetto semantico ottiene ora una definizione formale molto precisa nella semantica intensionale: l’insieme degli stati concepibili in cui è valido l’enunciato.

α = {wi ∈ W | I(wi,ϕ) = vero}

Infine possiamo riassumere la definizione della valutazione per un generico enunciato del linguaggio evidenziando come essa collega il comportamento intensionale/estensionale di enunciati, costanti e predicati:

Iwi (Pin (t1, …, tn)) = vero

sse

<Iwi(c1), ..., Iwi(cn)> ∈ Iwi( Pin)

Un generico enunciato ϕ, del tipo: (Pin (t1, …, tn)), sarà vero in un mondo wi se e solo se gli oggetti denotati dalle costanti individuali di ϕ in wi fanno parte dell’insieme denotato dal predicato P di ϕ in wi.

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